Enrica Perucchietti – Blog

Giornalista e scrittrice. Ciò che le TV e i media non ti dicono

Negli ultimi giorni è diventato virale il movimento delle sardine che ha organizzato i flash mob contro Matteo Salvini a Bologna e a Modena a cui hanno partecipato migliaia di persone.

Le “sardine” sono il simbolo scelto per protestare contro il leader della Lega, presente in Emilia-Romagna per la campagna elettorale in vista delle elezioni regionali del 26 gennaio 2020.

A uno sguardo distaccato questo movimento di protesta civile, giovane, non violento che fa ricorso a flahs mob e all’ironia, sembra molto simile alle tecniche utilizzate in precedenti moti di protesta (dalla Serbia alla Primavera araba) che coincidono con quanto teorizzato da Gene Sharp in Come abbattere un regime.

Si tratta cioè di movimenti di protesta civile lontano dai tradizionali partiti, che sembrano ispirarsi al metodo Canvas, utilizzato da Otpor!, il movimento studentesco che divenne protagonista della rivolta contro Slobodan Milošević. Il gruppo scelse come simbolo un pugno chiuso stilizzato su fondo nero e si dotò dell’ironia come arma principale.

Queste tecniche sono state teorizzate da Srđa Popović e prima ancora dal politologo americano Gene Sharp, autore di Come abbattere un regime. Quest’ultimo è stato duramente attaccato nel 2007 dal presidente venezuelano Hugo Chavez e nel 2008 dal regime iraniano che in un video di propaganda l’ha definito «un agente della CIA».

Sharp parte dal presupposto che «che sia possibile prevenire la tirannia e lottare con successo contro le dittature senza ricorrere a colossali bagni di sangue, e che sia possibile estirpare i regimi dittatoriali in modo che dalle loro ceneri ne sorgano di nuovi[1]», ben sapendo che

«la caduta di un regime non sfocia nell’utopia. Piuttosto apre la strada a un duro e faticoso lavoro per costruire relazioni sociali, economiche e politiche, sradicare altre forme di ingiustizia e oppressione[2]».

Da questa speranza, l’autore desume le azioni di ribellione non violenta che si devono intraprendere in vista di una sommossa, che elenca come segue:

  • dileggio dei funzionari di regime;
  • marce, parate, cortei motorizzati;
  • boicottaggio da parte dei consumatori;
  • non collaborazione personale generalizzata;
  • ritiro totale dei depositi bancari;
  • disobbedienza civile contro leggi illegittime.

Queste azioni costituiscono la base della protesta non violenta, in quanto

«la guerriglia non è una soluzione scontata, soprattutto se si considera la sua tendenza a incrementare paurosamente la quantità di vittime nella popolazione stessa […] Persino quando ha successo la guerriglia comporta conseguenze strutturali negative[3]».

Per questo Sharp è chiaro: per abbattere una dittatura nel modo più efficace e con perdite minime, bisogna intervenire subito su quattro fronti:

  • rafforzare la determinazione, la sicurezza nei propri mezzi e la resistenza della popolazione oppressa;
  • rafforzare i gruppi sociali indipendenti e le istituzioni di quella stessa popolazione;
  • creare una potente forza di resistenza interna;
  • sviluppare e implementare un piano di liberazione[4].

Otpor!

Il libro nasce clandestino ma si diffonde velocemente su internet in quasi trenta lingue. Nel 1993 esce in Thailandia, due anni dopo il regime birmano cerca inutilmente di contrastarne la diffusione: nel 2005 chiunque venga trovato in possesso di una copia del libello viene arrestato e condannato a sette anni di prigione.

Durante il governo di Milošević una copia arriva anche a Belgrado. Viene tradotta in serbo e adottata dal movimento locale di resistenza, Otpor!. Il movimento giovanile di Belgrado diventerà poi il punto di riferimento per il gruppo di protesta egiziano nel 2011.

In entrambi i casi, però, come spiegava il giornalista Alfredo Macchi in Rivoluzioni S.p.A, troviamo

«finanziamenti milionari a questi gruppi studenteschi che arrivano direttamente da Washington e da società di consulenza che insegnano agli aspiranti rivoluzionari di ogni paese attraverso veri e propri workshop».

Il metodo Canvas

Così il fondatore di Otpor! e poi dell’istituto Canvas (Center for applied nonviolent action and strategies) con sede a Belgrado, Srđa Popović spiega:

«Noi non insegniamo quando o perchè fare la rivoluzione, ma forniamo gli strumenti utili per organizzarla».

Costoro infatti insegnano agli aspiranti attivisti un modus operandi basato sulla non violenza, la guerra psicologica e la manipolazione mediatica, che è stato ribattezzato “metodo Canvas”.

Come per la rivoluzione bolscevica e prima ancora quella francese, dietro alle sommosse organizzate di piazza troviamo una regia occulta che muove le proteste come pedine per scopi ben diversi da quelli civili, di libertà e uguaglianza. Nulla di più diverso, dunque, dall’idea romantica di rivoluzione che abbiamo appreso sui banchi di scuola, perché, come osserva Macchi,

«Le insurrezioni però non nascono quasi mai dal nulla, soprattutto in zone con un controllo poliziesco capillare come il Nord Africa e il Medio Oriente. Dietro a cortei e proteste c’è il lavoro faticoso, rischioso e spesso ricco di delusioni di pochi attivisti. E c’è anche lo zampino di chi, dall’interno e dall’esterno, li aiuta, li finanzia e li indirizza. Qualcuno insomma che ha interesse a soffiare sul fuoco del malcontento, ad alimentarlo e a spingerlo verso esiti in certi casi ben diversi da quelli che sogna chi manifesta»[5].

Nel caso della rivolta contro Milošević,

«Il piccolo e combattivo gruppo studentesco “Otpor!” riceve anche importanti finanziamenti da benefattori negli Stati Uniti per centinaia di migliaia di dollari, confermati da alcuni ex leader della formazione serba. I soldi arrivano a Belgrado attraverso una rete inestricabile di fondazioni e organizzazioni americane, finanziate a loro volta dal governo di Washington. Andando a spulciare i bilanci ufficiali si scopre per esempio che il National Endowment for Democracy, diretta emanazione del Congresso degli Stati Uniti, ha effetto donazioni ad “Otpor!” per 237 mila dollari nel 2000. Una delle varie associazioni non governative coinvolte nel sostegno all’opposizione serba in nome della “democrazia” ha un nome evocativo, Freedom House e dopo la caduta di Milošević assume due attivisti di “Otpor!”, Alexander Maric e Stanko Lazendic come consulenti per i movimenti in Ucraina e Bielorussia»[6].

Arriviamo così alle insurrezioni in Medio Oriente del 2011 e ancora alle proteste degli indignados e di Occupy Wall Street tra i quali si infiltrano e confondono proprio gli attivisti di Otpor! Anche questi ultimi due gruppi, infatti, hanno utilizzato in maniera massiccia i social network per organizzare le proteste e attirare il più vasto numero di partecipanti.

Oggi, invece, in Italia tocca alle sardine organizzare una azione di dissenso e protesta contro un politico di opposizione che viene additato da molti come un pericolo per la tenuta della democrazia.

Il movimento di protesta è pronto ad approdare a Roma, in piazza del Popolo, sabato 21 dicembre alle 10.30. L’appello è stato lanciato su Facebook e ha raccolto in poche ore migliaia di consensi.

La differenza rispetto alle proteste del passato è però l’obiettivo stesso contro cui combattono le sardine: il “nemico” questa volta non è il despota di turno e non è nemmeno alla guida del Paese, ma all’opposizione. Si tratta cioè di una specie di “guerra preventiva” per impedire appunto a Salvini di vincere le elezioni anche in Emilia Romagna.

Vedremo con che modalità, consenso ed efficacia le sardine continueranno la loro protesta.


[1]              Gene Sharp, Come abbattere un regime, 2011, Chiarelettere, Milano, pag. 7. Titolo originale: From Dictatorship to Democracy, traduzione di Massimo Gardella.

[2]              Ivi, pag. 8.

[3]              Ivi, pag. 15.

[4]              Ivi, 19.

[5]              Alfredo Macchi, Rivoluzioni S.p.A Chi c’è dietro la Primavera Araba, Alpine studio, 2012, pag. 17.

[6]              Ivi, pag. 47, 48.

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